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C’è un convitato di pietra nel discorso attorno al Recovery plan, anzi ce ne sono decine di milioni. Ci riferiamo alle donne, la cui condizione è stata temporaneamente al centro delle dichiarazioni del premier Mario Draghi, in un’intervista rilasciata a  Maria Lombardi per Il Mattino

 

«Intendiamo lavorare in questo senso, puntando a un riequilibrio del gap salariale e a un sistema di welfare che permetta alle donne di dedicare alla loro carriera le stesse energie dei loro colleghi uomini, superando la scelta tra famiglia o lavoro», ha dichiarato Draghi e ancora  «tra i vari criteri che verranno usati per valutare i progetti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ci sarà anche il loro contributo alla parità di genere. Intendiamo investire, economicamente ma soprattutto culturalmente, perché sempre più giovani donne scelgano di formarsi negli ambiti su cui intendiamo rilanciare il Paese» ha aggiunto il Presidente del Consiglio, per poi concludere «Solo in questo modo riusciremo a garantire che le migliori risorse siano coinvolte nello sviluppo del Paese».

 

Vedremo, anche perché in questi giorni l’unica discussione pubblica attorno alle donne è quella, desolante, sulle quote rosa all’interno del PD, con la querelle che vede opposto il neo segretario Letta al capogruppo in Senato Andrea Marcucci, che lo stesso Letta vorrebbe sostituire con una donna, ovviamente della sua corrente.

 

Dunque? Dunque, al momento, solo parole, a fronte di uno status quo che lascia pochi dubbi sul baratro che separa donne e uomini nel mercato del lavoro, tema che spesso abbiamo affrontato in questa rubrica. Intanto, una donna su quattro lascia il lavoro al al primo figlio e come ci ricorda Alessandra Servidori in un suo articolo su Il Sussidiario.net, per quanto riguarda il gap salariale:

“Sulla parità retributiva, in Europa è calcolata sulla base della differenza del salario lordo orario tra gli uomini lavoratori e le donne lavoratrici. Non vengono presi in considerazione tutti gli altri fattori che contribuiscono al divario, come per esempio l’accesso all’istruzione, il tipo di occupazione svolta, il numero di ore lavorative. Nel nostro Paese il divario è del 5%, molto al di sotto della media europea. Ma c’è poco da celebrare. Il dato, infatti, non tiene conto di altri fattori determinanti che caratterizzano il nostro mercato del lavoro, come per esempio il tasso di occupazione femminile, le diverse qualifiche professionali e le specificità del settore pubblico e privato e il divario retributivo di genere è più articolato di quanto sembra.”

 

La strada per la gender equity, lastricata di buone intenzioni, invece che accorciarsi, sembra invece allungarsi ogni giorno di più-