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Tante volte, abbiamo richiamato il concetto di ‘sorellanza’, l’idea che ci possa essere una forma di solidarietà naturale tra donne, unite da una comune condizione di subordinazione e disparità rispetto al alla popolazione maschile di questo pianeta.

 

Anche la donna più potente, più ricca e influente, deve pagare il suo prezzo ad un mondo regolato a misura d’uomo. Anche dove l’ingiustizia, il gender gap, la discriminazione sembrano non esistere, tracce di tutto questo sono facilmente rilevabili e queste tracce sembrano resistere ad ogni tentativo di rimozione, anche da parte di quelle donne e sono tante, che fingono di non vederle o che ne negano l’esistenza.

 

Per questo l’idea di ‘sorellanza’ è forte e urgente, perché per quanto diverse, le donne sono obbligate a condividere uno status comune, quello di rimanere rinchiuse all’interno di un recinto creato per loro.

E la loro libertà, fisica, morale e intellettuale, costa un prezzo sempre infinitamente più alto di quello pagato dagli uomini. La loro dignità, il rispetto che le si deve, il diritto all’autodeterminazione e alla parità di trattamento, rimangono ancora per molte, chimere impossibili da raggiungere.

 

Questa settimana si sovrappongono un paio di notizie che ci sembrava segnalare all’interno di Think pink!.

 

La prima è una  campagna nata su Instagram e  promossa con l’hashtag #womensupportingwomen, un’iniziativa partita dagli U.S.A. un paio di settimane fa (forse sull’onda della vicenda legata alla deputata Alexandria Ocasio-Cortez  aggredita verbalmente  dal repubblicano Ted Yoho sulla scalinata di Capitol hill).

La campagna, anzi, la ‘challenge’ ,consiste nel pubblicare una propria foto in bianco e nero (senza far uso di filtri) e fino ad oggi è stata sostenuta da nomi noti del mondo dello spettacolo, per quanto l’iniziativa sia aperta a donne non necessariamente V.I.P. Anche in Italia sta trovando seguito, come sicuramente lo ha fatto in altri paesi.

Quale sarà o quale potrebbe essere l’efficacia e il senso di un’iniziativa del genere? Che tipo di contributo potrà portare alla causa della ‘sorellanza’? Non sta certo a noi dirlo, per quanto sia forse lecito coltivare il dubbio che possa trattarsi di un’azione anodina, una moda più che una vera mobilitazione o l’ennesima occasione per evocare un principio che nella realtà continua a stentare a trovare concretezza. Ma il nostro intento è quello di registrare un fenomeno e non di giudicarlo.

 

La seconda vicenda ci propone un nuovo episodio della querelle tra Heather Parisi e Lorella Cuccarini, due artiste unite da una comune esperienza di ballerine e cantanti e divise da visioni del mondo decisamente contrastanti, soprattutto in tema di diritti civili. Questa volta, ad accendere l’indignazione di Heatrher Parisi è stato un ‘like’ messo da Lorella Cuccarini (che non ha mai nascosto le sue simpatie politiche per il centrodestra) ad un tweet che riportava un articolo del giornalista Marco Gervasoni contro il progetto di legge sulla omofobia. Heather Parisi  ha scritto «In Italia non c’è una legge che punisca discriminazioni e violenze per orientamento sessuale genere e identità di genere LGBTQ. Il DDL Zan colma questa lacuna. Spacciarlo per una legge che uccide la libertà, è negare che l’Amore, qualunque Amore, minaccia solo chi non lo capisce». Ha ricordato poi che sia lei che la sua ex collega avessero lavorato in ambienti condivisi con tante persone omosessuali e che questo avrebbe dovuto aiutarle a cogliere l’importanza e l’urgenza di una legge di questo tipo.

 

Due notizie, queste, che mostrano come la faccenda della solidarietà, della sorellanza, della vicinanza a chi chi è sistematicamente oppresso e discriminato, sia ancora un tema che ha bisogno di essere sviluppato, approfondito e condiviso, magari non necessariamente e solo sui social network, ma piuttosto nelle scuole e nei luoghi dove è possibile articolare un dibattito capace di coinvolgere e stimolare iniziative più complesse di una ‘challenge’ o di un pepato scambio di opinioni su twitter.

 

A volte, verrebbe la voglia di cambiare il titolo di questa rubrica e da Think Pink! per  trasformarlo in un più concreto Do Pink!