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La settantottenne stilista inglese, lancia una campagna per incoraggiare acquisti consapevoli. La moda deve essere anche selezione e non la scusa per riempire scriteriatamente i propri guardaroba. “Compra meno, scegli bene, fallo durare”, questo è l’invito di Vivienne Westwood, che potrebbe anche trasformarsi in un utile volano ecologico.

 

All’inizio, quel negozietto di abiti nuovi e usati al 430 di King’s road si chiamava Paradise Garage, poi il suo proprietario, Malcom McLaren, l’uomo che se non propriamente il punk, si sarebbe inventato i Sex pistols, lo ribattezzò Let it rock e non contento gli cambiò di nuovo nome in Too Fast To Live, Too Young To Die (il motto amato dai Mods del tempo) e sugli scaffali cominciarono a trovare posto gli eccentrici abiti di un’altrettanto eccentrica stilista, Vivienne Westwood. A oltre mezzo secolo di distanza, la ragazzina terribile della moda inglese, continua a creare e fare politica, così come accadeva ai tempi di Sex, l’ultimo e definitivo nome che la boutique assunse giusto in tempo per diventare il luogo di culto del movimento punk internazionale.

 

A teatro il consiglio è ”less is more”, a togliere si guadagna, potremmo tradurre. La stessa idea che Vivienne Westwood ha rilanciato in occasione del Bread & Butter di Berlino, la rassegna di street style e cultura urbana di Zalando.
“Compra meno, scegli bene, fallo durare”, questo è lo slogan scelto dalla stilista britannica, che ha spiegato ”Ci sono troppi troppi vestiti in giro: bisogna selezionare, creare pezzi che facciano la differenza. . Non ho mai lavorato solo per i soldi, e non ho intenzione di iniziare ora. La moda oggi è orientata verso un espansionismo senza fine, guidata da un marketing senza idee. Non mi appartiene». Ciò che la Westwood rivendica, è il dovere reciproco, di chi crea abiti e di chi li indossa, di essere parte di un processo consapevole. Lo stilista deve prendersi più tempo per concepire, pensare e realizzare la sua creazione, nutrendola di stimoli, esperienze e conoscenza. Se tutti son originali, nessuno è originale, verrebbe da aggiungere ed è lei stessa a ribadire il concetto “Il ventesimo secolo è stato un unico, gigantesco errore in cui hanno prevalso l’appiattimento iconoclasta e il contemporaneo a ogni costo. Si è data troppa rilevanza all’originalità di ciascuno a prescindere dal risultato”.

 

Ma l’invito della Westwood a comprare meno ma anche a produrre meno) acquista un ulteriore significato alla luce dei dati diffusi dal report per il 2018 diffuso da Quantis, agenzia che si occupa di sviluppare soluzioni sostenibili per le grandi aziende: con una produzione di circa 150 miliardi di capi all’anno, l’industria dell’abbigliamento e delle calzature genera annualmente tra il 5 e il 10 percento dell’inquinamento globale. Un dato che impressiona e che in occasione della conferenza mondiale sul clima COP24 ha spinto alcuni grandi brand del settore (ricordando che sui dieci marchi più amati nel mondo, otto sono italiani) ad aderire alla Carta per l’Azione Climatica dell’Industria della moda, impegnandosi a praticare politiche di produzioni più sostenibili da un punto di vista ambientale. Vedremo se si tratterà di un vero cambio di rotta o solo di una buona occasione per fare ”brand washing”: efficienza energetica, energie rinnovabili e resilienza ai cambiamenti climatici, dovrebbero essere le principali linee guida. La speranza, naturalmente, è che questo impegno verrà tradotto in azioni concrete (e non solo di facciata) e che non rimarranno invece l’ennesima buona occasione persa.